La tenuta del Governo, diviso sull’agenda politica del paese, che sia la Tav, il caso Diciotti o la posizione dell’Italia sul fronte venezuelano. E poi la situazione economica, tra recessione e annunci di ripresa. Il reddito di cittadinanza, la riforma delle pensioni, le frizioni all’interno della sinistra, i migranti, l’Europa che sarà all’indomani del voto del 26 maggio. Infine l’appuntamento elettorale di domenica in Abruzzo, che vede la Lega rientrare nel centrodestra in opposizione all’alleato di Roma, il Movimento 5 Stelle. Ne parliamo con il coordinatore nazionale di Fratelli D’Italia Guido Crosetto e con il direttore di “Libero” Vittorio Feltri.
Per un fronte che si chiude, quello di Sea Watch 3 autorizzata sbarcare i 47 migranti a bordo, ce n’è un altro che resta aperto, è il caso Diciotti: e qui la questione è più complessa, con il Tribunale dei ministri di Catania che chiede di processare il ministro dell’Interno e una maggioranza che ad oggi sembra navigare a vista, divisa tra intransigenti e garantisti. Per sterilizzare il voto su Matteo Salvini, nelle prossime ore Palazzo Chigi potrebbe inviare alla Giunta per le Autorizzazioni di Palazzo Madama un documento che attribuisce all’intero esecutivo la responsabilità di quanto avvenne la scorsa estate nel porto di Catania. Basterà? E se così non fosse, quanto peserebbe un eventuale sì al processo sui già fragili equilibri del governo Conte? Ne parliamo con Lorenzo Fontana, ministro per la Famiglia e le Disabilità ma soprattutto vicesegretario federale della Lega Nord, con il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e con il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano.
L’ultimo schizzo di fango è storia di stamattina: “Guido Rossa infame”, ha scritto qualcuno sui muri di Genova. “Infame”: che vuol dire spia, delatore. Le stesse accuse che quarant’anni orsono Guido Rossa pagò con la vita, prima gambizzato, poi finito con un colpo di grazia al cuore. Operaio dell’Italsider, iscritto al partito comunista italiano, sindacalista della Cgil, Rossa aveva denunciato un collega, Francesco Berardi, sorpreso a diffondere in fabbrica volantini del partito armato. “Lo abbiamo lasciato solo”, disse Luciano Lama il giorno dei suoi funerali. Solo come solo sarebbe stato cinque giorni dopo il magistrato Emilio Alessandrini, giustiziato a Milano da Prima Linea. Scrisse di lui Walter Tobagi, a sua volta ucciso dal partito armato: “hanno colpito Alessandrini per quel che aveva fatto ma ancor di più per quello che si apprestava a fare: un archivio sul terrorismo”. Lo freddarono in auto, aveva appena lasciato a scuola il figlio Marco. Ed è con Marco Alessandrini, Giovanni Fasanella e Valter Vecellio che cercheremo di ripercorrere la lunga scia di sangue che segnò gli Anni di Piombo.
Al di là dei commenti e delle reazioni - per alcuni sopra le righe, per altri sacrosante - l’arresto di Cesare Battisti racconta una cosa sopra ogni altra: i cosiddetti Anni di Piombo sono una ferita che continua a sanguinare. Sanguina dalla carne viva di chi in quella stagione ha perduto un figlio, un padre, un amico. Come sanguina sulla pelle dell’uomo della strada, di chi in quegli anni ha assistito inerme ad una spirale di paura che travolgeva tutto e tutti. Forse perché l’Italia è il paese che più a lungo e più di ogni altro in Europa ha subito l’attacco del partito armato. O forse perché sono ancora troppi i conti aperti, i latitanti in fuga, le verità da scoprire e raccontare. Ne parliamo con il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri e con il direttore del “Dubbio” Piero Sansonetti.
Oggi è la Tav, l’alta velocità Torino-Lione. Ieri erano i migranti, con l’affare Sea Watch. Domani saranno il reddito di cittadinanza e quota 100, con il decreto prima annunciato e poi ancora una volta rinviato a data da destinarsi. Sono tanti e temi che agitano la maggioranza: passati, presenti e futuri. Una maggioranza ancorata ad un contratto di governo costretto sempre più a modellarsi sulle esigenze e i linguaggi di due forze politiche impegnate in una campagna elettorale, quella per le europee, combattuta su fronti opposti. Ne parliamo con Francesco D’Uva, capogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle e con il direttore del Messaggero Virman Cusenza.
Ad aprire il fronte è stato il primo cittadino di Palermo. Con una circolare datata 21 dicembre 2018, Leoluca Orlando ha di fatto invitato gli uffici di Palazzo delle Aquile a disattendere il decreto sicurezza nella parte in cui nega l’iscrizione all’anagrafe ai nuovi richiedenti asilo. Ed è stato un po’ come accendere un fiammifero in una santabarbara. Con il mondo dei sindaci spaccato - è difficile fare i conti - tra contrari e favorevoli al provvedimento attraverso il quale il Viminale ha riscritto le regole nel campo dell’immigrazione. Materia certamente complessa, anche al netto dell’inevitabile propaganda in vista delle prossime Europee. Ne parliamo con Paola Tommasi di “Libero” e con due esponenti dei blocchi che in queste ore si contrappongono: il sindaco di Ascoli Piceno Guido Castelli (Forza Italia) e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando (Partito Democratico).
L’unica certezza è che domani i sei candidati alla segreteria saranno fianco a fianco in piazza Montecitorio per protestare contro la manovra economica del governo. Per il resto, il futuro del Partito Democratico è tutto da scrivere tra ritorni al passato, alleanze da stringere e scissioni - se non annunciate - quantomeno sussurrate. E del resto non sarebbe la prima volta. Ne parliamo con l’uomo che, almeno a leggere i sondaggi, sarà il prossimo segretario Dem: il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti.
L’Europa delle divisioni, l’Europa dei nazionalismi, l’Europa dei “numerini”, per dirla con i vicepremier Salvini e Di Maio. E poi l’Europa nel mirino del terrorismo islamico, l’Europa spaccata sul fronte dell’immigrazione, l’Europa infiammata dalle proteste, l’Europa che è e l’Europa che sarà dopo il voto del prossimo maggio. Ne parliamo con il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani.
Il cadavere di Cherif Chekatt era ancora caldo quando sul web i macellai dello Stato islamico ne celebravano il martirio. E’ durata 48 ore la fuga del killer di Strasburgo. Sempre che di fuga si possa parlare, dal momento che la polizia francese lo ha neutralizzato ieri sera alle 21 nel suo quartiere, a poche centinaia di metri dall’abitazione dei suoi familiari. Ha aperto il fuoco per primo, Chekatt, con la stessa arma utilizzata per giustiziare le sue vittime martedì sera tra le bancarelle del mercatino di Natale. Gli agenti hanno risposto al fuoco ed è stata la fine di un incubo per una città intera. Una città considerata in Francia la culla dell’Islam radicale se è vero come è vero che il 10 per cento delle persone considerate potenzialmente pericolose per la sicurezza dello Stato viene proprio da qui, da Strasburgo. E questo riapre il dibattito mai risolto sul fronte dell’integrazione. Mentre non ce l'ha fatta Antonio Megalizzi, il ventinovenne italiano che da martedì sera lottava tra la vita e la morte con un proiettile nel collo. Ne parliamo con Anne Treca, corrispondente dall’Italia di Radio France Internationale; con Alberto Negri dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e con l’inviato del Giornale Gian Micalessin.
Il dato è il peggiore dall’unità d’Italia ad oggi e disegna un paese dai capelli sempre più bianchi. I numeri li ha messi in fila l’Istat, e raccontano un calo delle nascite rispetto allo scorso anno di un 4 per cento netto. Ma ciò che più importa è che il decremento è costante nel tempo: 440 mila le nascite stimate per il 2018 contro il milione e passa a metà degli anni Sessanta. Un trend che preoccupa e che in molti hanno provato ad invertire, evidentemente invano. Ne parliamo con il ministro per la Famiglia e le Disabilità Lorenzo Fontana e con il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano.
Il rumore di un vetro infranto, l’ombra di un uomo, forse due. Minacciosi, sembrano armati. Lo sbigottimento che diventa paura, la mano che corre alla pistola. Il dito sul grilletto, il primo colpo che illumina la notte. Poi un altro. E un altro ancora. Spara cinque volte, Fredy Pacini. Spara per difendere se stesso e la sua azienda, tutto ciò che ha. In terra resta il corpo senza vita di un uomo, è un moldavo di 29 anni. Lì accanto, il piccone con in quale ha infranto la vetrata. Un complice, almeno uno, riesce a fuggire. Accade a Monte San Savino, siamo in provincia di Arezzo. E accade che l’intero paese si schiera dalla parte del commerciante, da quattro anni costretto a dormire in azienda, in una branda issata su un soppalco. E’ così che in Italia si riaccende in dibattito sulla legittima difesa. Sulla legittima difesa e sulla sicurezza. Ne parliamo con il ministro della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno e con il capo cronista del Tg2 Francesco Vitale.